L'orecchio del diavolo di Lorena Lusetti
Di Bruno Elpis
L’orecchio del diavolo di Lorena Lusetti
Nella quarta puntata della saga, intitolata L’orecchio del diavolo, Stella Spada… ne combina di cotte e di crude per mano dell’ineffabile Lorena Lusetti.
Si comincia con una scena choc: l’investigatrice più spregiudicata del noir passa senza colpo ferire dalle vesti di affettuosa mammina a quelle della più cinica giustiziera (“Tra un vecchio passeggino e una bicicletta senza ruote, seduto su uno sgabello, legato come un salame e con due righe di nastro isolante sulla bocca, c’è il mio vicino…”), pronta a vendicare le violenze domestiche subite dalla sfortunata vicina con la complicità inconsapevole dell’amico Orlando, aspirante suicida. Sarà per via del sangue che le scorre nelle vene (“La nonna della nonna di mia nonna, che abitava in qualche luogo acquitrinoso sulle rive del Po, aveva fama di essere una strega”), sarà per un eccesso di impulsività selvaggia, Stella non riesce proprio a dominare “la bestia” che è in lei.
Tra il pedinamento di un marito fedifrago con sorpresa sull’identità dell’amante e la ludopatia di un’arzilla vecchietta, Stella Spada accetta l’incarico più impegnativo offertole da “Elisa Onofri, sindaco di Duemondi, provincia di Ferrara”: occuparsi di una misteriosa sparizione (“Mio figlio compirebbe dieci anni fra un mese, se fosse con me. Li compirà in ogni caso, dovunque sia”) per la quale sono ancora in corso le indagini della polizia. La dinamica della scomparsa anticipa di un paio d’anni La vita è un romanzo di Guillaume Musso (clicca qui per leggere il nostro commento): anche nel romanzo del celebre romanziere francese la figlioletta scompare giocando a nascondino… Lorena Lusetti dovrebbe dunque reclamare i diritti d’autore?
L’incarico conferito da Elisa prevede una trasferta: destinazione delta del Po, in un paesino che – sotto il livello del mare, tra argini e nebbie – nasconde i più atroci delitti con la patina dell’apparente serenità (“il paese dei campanelli”).
Per recarsi sul posto, Stella affronta la propria latente agorafobia (“Per allontanarmi da Bologna ho bisogno di un periodo di preparazione psicologica”).
Ospite nella maestosa casa colonica, ove tuttavia deve sfidare il freddo notturno perché nel deposito è terminata la legna che alimenta le stufe, la nostra impareggiabile detective deve giostrarsi tra una serie di personaggi dai nomi strani: il giovane Olindo, che pratica il turismo sessuale in Thailandia e Brasile, l’irritante e violento Pericle, la tornita e solida merciaia Argenide, tutti consiglieri e assessori comunali di Duemondi, tutti accomunati da un particolare fisico (“Non riesco a staccare gli occhi dai lunghi lobi attaccati al suo collo”) che li imparenta a un antenato equivoco (“Un legionario che insidia i ragazzini poi viene squartato e dato in pasto ai pesci”). A questo disdicevole avo Olindo – assessore al turismo – vuole dedicare un evento culturale (“Tito Calpurnio Prisco.. Illustre antenato di cui aveva ereditato, oltre ai lobi delle orecchie, il vizietto”).
Grazie a un indizio inatteso (“Belle le biglie vero? Sono antiche sai? Erano del mio bisnonno Ercole”) e dribblando le interferenze del commissario di Comacchio e del “solito” Marconi (“Un senso di disagio mi strizza lo stomaco, succede così tutte le volte che vedo Marconi: da una parte vorrei fargli del male, dall’altra vorrei sentire le sue mani scendermi lungo la schiena…”), Stella verrà a capo dei segreti custoditi dalle foschie della foce padana.
Il prezzo da pagare?
Una scia di sangue, che ribalta completamente il cliché dell’investigatore eroe giusto e saggio (… l’eroe dei Duemondi?), garante dell’ordine nel trionfo delle istituzioni e della giustizia…