I vasi di Ariosto di Lorena Lusetti
Recensito da Bruno Elpis sul blog i-libri – 24/03/2021
I vasi di Ariosto di Lorena Lusetti
E siamo così giunti alla quinta puntata della saga di Stella Spada. L’investigatrice più giustizialista d’Italia ha appena combinato qualche altra marachella penalmente rilevante nel romanzo precedente, L’orecchio del diavolo: la ritroviamo febbricitante in Via dell’Inferno (“Vicolo bolognese dal nome evocativo… posto nel suggestivo e antichissimo ghetto ebraico”), ma questa volta finalmente risoluta a convertirsi (“Chi è questa persona triste, vulnerabile, sensibile e nostalgica che ha preso il posto della cinica, sarcastica, egoista e individualista Stella Spada?”). Stella si ripromette dunque di resistere alla pericolosa tendenza (“Non posso più amministrare la giustizia secondo i miei canoni, non funziona. Ho finito per esagerare, mi son fatta prendere la mano e le mie azioni sono diventate sempre meno giuste”) che la spinge (e usiamo questo verbo non a caso) a sbarazzarsi del prossimo, in ciò sostituendosi – nelle diverse situazioni – a quella che normalmente chiamiamo giustizia terrena o divina…
Oltre che acciaccata per una brutta e prolungata influenza, Stella deve nuovamente fare i conti con la ristrettezza economica (“Se entro la settimana non mi arriva il bonifico… mando avanti la pratica di sfratto”) che la spinge (ancora questo verbo!) ad accettare un incarico apparentemente insignificante: Andrea Ariosto, un piacente giovanotto con un’accentuata mania per l’ordine, vuole scoprire quale sia la causa di un sospetto movimento dei vasi sul terrazzo (“Andrea Ariosto pensa che qualcuno gli sia entrato in casa dal terrazzo. Non manca nulla, ma i vasi sul suo terrazzo sono fuori posto”).
In concomitanza a questo ingaggio, proprio nel condominio ove abita il palestrato giovanotto, Stella fa la conoscenza del nuovo commissario di polizia (“Sono il commissario Delia Daviddi… sono stata mandata qui per sostituire il commissario Marconi”), che sostituisce l’affascinante Marconi misteriosamente scomparso (“Si sa dov’è andato?”). Delia sta indagando su un caso che ricorda in maniera sconcertante la strage di Olindo e Rosa a Erba (“Sono state uccise quattro persone all’arma bianca… un coltello grande, probabilmente da cucina, che non è stato ritrovato”): anche in questo caso i sospetti si concentrano inizialmente sul capofamiglia spacciatore, proprio come a Erba.
Stella agisce su due fronti: frequenta il giro della droga per comprendere se la strage familiare sia riconducibile a una ritorsione e, parallelamente, interroga (“Io devo indagare solo su alcuni vasi spostati e su un maniaco dell’ordine che lo trova preoccupante”) gli strani condòmini – quanto a stranezza sono degni di quelli che operano in Rosmary’s baby – per individuare quale possa essere la causa degli enigmatici spostamenti de I vasi di Ariosto (“Certo che in questa via succedono cose strane, dalle più insignificanti alle più terribili”).
In questo duplice percorso la detective bolognese scopre il ruolo illecito del proprio vicino, Carlo, e viene scritturata – e sarà la sua fortuna! – dall’amministratore del condominio antistante l’edificio di Ariosto (“Questi inquilini si trovano continuamente le pareti esterne dell’edificio imbrattate da graffiti di pessimo gusto”) per stanare i giovani writers che imbrattano i muri (“In fondo non sono poi così male, sembrano segni tribali”).
Le verità che Stella svela sono sorprendenti, il proposito di non perseverare nel suo vizietto (“Marconi è stato la mia ultima intemperanza, ora sono cambiata, sono una Stella nuova. Mai più, mi ripeto come un mantra, non mi farò mai più trasportare dall’istinto, la bestia è stata chiusa nella gabbia…”) viene in parte rispettato anche grazie a un paio di interventi di Draco, un boss del malaffare che ha metodi risolutivi (“Non vorrei che mi avessi scambiato per un’impresa di pulizie”) degni della parte oscura di Stella.
Ho confessato a Lorena Lusetti che la storia de I vasi di Ariosto mi ha evocato Grottesco del mio adorato Patrick McGrath (clicca qui per leggere il nostro commento): sia per un dettaglio (“Nessuno lo vedrà mai più, Stella. Di questo puoi stare sicura. Ho un cugino che ha un allevamento di maiali vicino a Parma. Quelli mangiano di tutto”), sia per la commistione di elementi noir-horror-humor della vicenda. L’autrice ha opportunamente replicato:
«Noi abbiamo certamente i maiali più famosi dei suoi. Non ho mai sentito parlare di prosciutto inglese, quello delle nostre parti invece…»
E la replica della Lusetti non fa una piega, vi pare?