- Copertina flessibile: 200 pagine
- Prezzo copertina: 14,00
- Editore: Damster
- ISBN-13: 978-8868103255
Nessuno lo vedrà mai più, Stella,
di questo puoi stare sicura.
Ho un cugino che ha un allevamento
di maiali vicino a Parma.
Quelli mangiano di tutto.
L’investigatrice privata Stella Spada ha superato il limite. La parte oscura della sua personalità sta prendendo il sopravvento, e questo non lo può permettere.
Deve cambiare finchè è ancora in tempo, ma tutto ha un prezzo.
Non può continuare a lasciarsi coinvolgere dai casi su cui investiga fino a diventare lei stessa parte del crimine che persegue.
Quanto è diversa la Stella che esce da questa nuova avventura?
Buio, odore di chiuso e di medicine. Che ore saranno? Che domanda inutile. Gli scuri sono accostati, ho le coperte tirate su fino alle orecchie: sono qui sotto da un tempo infinito, potrebbe essere mattina o pomeriggio, ma in fondo cosa mi importa? Sento la pesante chiave infilarsi nella toppa. Tre giri rumorosi, uno strascicare di pantofole e un raspare di grosse unghie che grattano il parquet. Conto fino a quattro, intanto tiro i muscoli, trattengo il fiato e mi preparo all’assalto.
Filippo, il grosso San Bernardo della mia vicina di casa, è arrivato come una valanga, è salito sul letto e ha cominciato a calpestarmi allegramente con tutta la sua mole e il suo peso. Per un attimo mi manca il fiato, il bestione riesce sempre a stupirmi. Immetto aria per sgridarlo, ma quest’azione mi provoca un accesso di tosse che sembra disintegrarmi i polmoni e la schiena.
– Oh buongiorno Stella, andiamo bene. Non mi pare che facciamo grandi progressi da queste parti.
Eccola lì, l’ottimista, lei sì che sa come risollevarmi nei momenti di depressione.
– Buongiorno a te, Alda – dico tra un colpo di tosse e l’altro. – Mi dispiace deluderti, ma sto molto meglio questa mattina e potrebbe migliorare ancora di molto la situazione se togliessi Filippo dalle mie costole, almeno potrei tentare di espandere i polmoni e respirare.
– Non prendertela con lui, povero piccolino, ti sta solo facendo le feste, non vedi?
Piccolino, lo chiama. Questo cane era enorme anche da piccolo, solo che il cervello è rimasto appunto quello del cucciolo: grande e grosso com’è pretende di saltarmi addosso e accucciarmisi in grembo, rischiando ogni volta di sfondarmi la gabbia toracica. Faccio un grugnito che si trasforma in una serie di starnuti.
– Ecco, cosa ti dicevo? Senti, io vado in cucina a fare il caffè, ti ho portato la pinza appena fatta, so che ti piace tanto.
Vorrei dire grazie, ma sono troppo impegnata a immettere ossigeno ora che Filippo è sceso dal letto per seguire la sua padrona: la parola pinza la conosce bene ed è andato a vedere se ce n’è anche per lui. Carissima la mia Alda, le sono estremamente grata per la sua presenza. Mi accudisce e mi coccola in maniera commovente. Le lascio anche una cifra mensile, ridicola peraltro, in cambio delle pulizie, ma devo dire che lei è davvero un’amica, non so proprio cosa farei se non ci fosse. Un terribile rumore di qualcosa che si infrange in cucina mi fa tornare a pensieri più realistici: Alda e Filippo sono due sciagure quando ci si mettono d’impegno, e io non mi posso nemmeno lamentare senza sembrare terribilmente ingrata.
Mi tolgo la coperta e mi metto seduta con i piedi sul pavimento. Non so se ce la farò ad alzarmi: ho la testa ovattata, male a tutte le ossa, voglia di tossire e di starnutire, magari le due cose contemporaneamente. Questa influenza non mi vuole mollare, ormai sono mesi che sto così e non passa, non so più cosa fare. Ho trangugiato di tutto, dai farmaci proibiti ai rimedi della nonna, dagli infusi di erbe alle alghe del Mar dei Sargassi. Ho ascoltato e messo in pratica tutti i consigli di chi ha osato avvicinarsi a me, anche solo per telefono. Niente da fare, solo qualche piccolo miglioramento, ma sostanzialmente i sintomi influenzali sono ancora tutti lì in agguato.
Mi alzo in piedi e mi avvio tossendo verso il bagno, dove mi fermo davanti all’enorme specchio impietoso sopra al lavandino. Anche senza accendere la luce, l’immagine che mi rimanda fa davvero schifo: occhi lacrimosi, pelle traslucida, profonde occhiaie viola. Per non parlare dei capelli, che sembrano una scopetta di saggina rovesciata. Un disastro.
– Stellaaaa, è pronto il caffè! Sei in piedi? – mi urla Alda dalla cucina.
– Sì, sono in bagno, arrivo subito. – Subito magari no, il tempo di mettere in moto le articolazioni. Una serie di starnuti mi fa quasi sbattere la testa sul lavandino, mi lavo la faccia, mi asciugo e, mentre riapro lentamente gli occhi, lo specchio mi rimanda un’altra immagine, della quale in questo momento avrei fatto volentieri a meno: quella di Silvia.
– Buongiorno Stella, come andiamo oggi? Hai una bella cera. Silvia mi sorride, i suoi morbidi riccioli neri ricadono setosi sulle spalle, gli occhi verdi, circondati da lunghe ciglia, brillano di sarcasmo e intelligenza. Il sorriso aperto mostra denti bianchissimi e regolari.
– Ma vaffanculo – le dico. Quando ci vuole ci vuole. Lei si mette a ridere buttando la testa indietro e mostrandomi il collo, sottile e vulnerabile. Una fitta di rimorso mi provoca un altro accesso di tosse.
– Non c’è niente da ridere – le dico appena posso, poi sputo il dentifricio contro lo specchio e me ne vado in cucina.
Filippo mi aspetta seduto e composto accanto alla sedia, sa che rimedia sempre qualcosa mentre mangio.
– Allora, Stella, sei riuscita a dormire un pochino?
– Sì, certo, questa notte mi sono fatta tutto un sonno – mento. Alda fa parte di quella corrente di pensiero secondo la quale con un bel sonno passa tutto, anche il cancro. Magari fosse così. Appena chiudo gli occhi vengo assalita dagli incubi, così mi sveglio preda della tachicardia e dei sudori freddi, e chi mi vedo sempre accanto? Silvia, la mia ex socia che per disgrazia ho ucciso alcuni anni fa. Mi sta sempre accanto, dice che ho bisogno di lei e non mi molla mai. Allora chiudo gli occhi e provo a riaddormentarmi, ma comincio a tossire fino a sputare pezzi di polmone. Quando, sfinita, riesco finalmente a riprendere sonno, eccoli lì i miei incubi che mi assalgono: mi aspettano, i bastardi, pronti a saltarmi addosso appena cerco sollievo nelle braccia di Morfeo. Il pensiero delle braccia di qualcuno che mi avvolgono mi provoca una serie di starnuti che spaventano pure Filippo.
– Bevi, bevi finché è caldo, che ti fa bene.
Certo, come no. Non capisco perché ustionarsi la trachea dovrebbe farmi passare l’influenza, ma Alda ne pare convinta.
– Ti ho portato su la posta – dice indicando una pila di buste. Che poi so bene di cosa si tratta: inutile pubblicità e ancora più inutili bollette. Purtroppo queste ultime sono in maggioranza e richiedono una rapida attenzione. So bene che il mio conto corrente è sempre sul filo del rosso, troppe fatture tutte in una volta potrebbero farmi cadere pericolosamente nella zona debito.
– Senti Stella, sono mesi che stai chiusa qui dentro, perché non vieni fuori con me anche solo al bar qui di sotto? Sono sicura che ti farebbe bene un po’ d’aria fresca e pulita.
L’aria del vicolo bolognese dal nome evocativo di via dell’Inferno, posto nel suggestivo e antichissimo ghetto ebraico, può essere tante cose, ma fresca e pulita proprio no.
– Ma non ce la faccio, non vedi che non sto nemmeno in piedi? Poi guarda come sono messa, mi ci vorrebbe un restauro integrale al quale adesso non sono in grado di pensare.
– Ma sì che ce la fai, ce la devi fare. Ti farebbe molto bene anche cominciare a occuparti di qualche caso, altro che medicine e tisane!
Guardo sconsolata la pila delle fatture che Filippo sta annusando, sperando si tratti di una fetta di torta. Magari se le mangia, così non ci penso più. Appoggio la testa sulla mano e provo a chiudere un attimo gli occhi.
– Senti Stella, io posso anche soprassedere sui tre mesi di pulizie che mi devi ancora pagare, ma guarda che se chiedi ancora di rimandare il pagamento della rata di affitto alla padrona di casa, quella ti caccia senza nessun rimorso. E magari qui ci vengono a stare una decina di studenti universitari fuori corso che non fanno altro che feste e casino.
Ecco dove vuole andare a parare la viscida, altro che aria fresca e riabilitazione, sono i soldi arretrati che vuole!
– Senti Alda, per quanto riguarda le pulizie puoi pure lasciar perdere, tanto se non devono venire clienti non occorre neppure salvare le apparenze.
Alda si alza in piedi, indignata.
– Ci mancherebbe solo questa. Ma lo sai che confusione ci sarebbe qui in giro se non ci pensassi io? Sarebbe un caos tremendo!
Guardo Filippo che ha morsicato e frantumato un giornale spargendone i pezzi dappertutto, e che con la coda ha ribaltato il barattolo dello zucchero che sta leccando avidamente dal pavimento lasciando strisce di bava gommosa; osservo i bigodini e le mollette che nel frattempo Alda si è tolta dalla testa e ha appoggiato sulla tavola e cerco di immaginarmi che cosa potrebbe mai intendere per caos tremendo. Sull’affitto, però, non ha poi tutti i torti.
– Mi farò aiutare da mio marito, come sempre.
– Ah no, basta! Adesso poi basta! Ma dove è finita l’investigatrice Stella Spada che affronta i casi disperati e li porta a buon fine? La coraggiosa, famosa, affascinante Stella Spada?
Quella non è mai esistita se non nella tua fantasia tesoro, le vorrei dire. Ma taccio, so che lo fa per il mio bene. Anzi, mi sorprendo a guardarla con affetto e con una specie di sorriso che faccio tirando appena mezza bocca.
– Non accetto più scuse, ora ti vesti e vieni fuori con me. Andiamo al bar, ci sediamo e guardiamo la gente che passa. Non mi sembra molto difficile, secondo me ce la puoi fare.
Filippo alla parola “fuori” comincia ad abbaiare e scodinzolare, buttando giù tutto quello che si trova sopra i miei poveri mobili. Poi corre verso la porta.
– Lo vedi? Anche lui è contento di fare un giro con te.
Come no; in ogni caso mi costa uno sforzo maggiore continuare a negarmi piuttosto che assecondarla.
– Va bene, dammi un quarto d’ora per sistemarmi e poi scendo, ci vediamo giù al bar.
Alda getta le braccia al cielo.
– Alleluia, alleluia! Oggi è un grande giorno, non ricordo più quando è stata l’ultima volta che ti ho vista scendere le scale.
Si affretta a rassettare la tavola, sistema malamente il caos lasciato da Filippo, raduna i suoi bigodini nel grembiule e si avvia alla porta.
– Tra quindici minuti da Benito. Venti al massimo! – Le ultime parole me le ha dette già sul pianerottolo.
Il mio studio torna a essere quella tomba che è di solito: con le finestre chiuse, buio, silenzioso e polveroso, con me che mi sento proprio come una mummia. Ben conservata, ma pur sempre mummia.