Eleonora è una donna di oggi, che divide il suo tempo e le sue energie tra il lavoro di avvocato e la famiglia. Ha un marito, Luca, spesso fuori casa per giorni a causa degli impegni lavorativi, e due figli, Marco di 9 anni e Giulia di 11. La vita che conduce attualmente è serena, ma non è sempre stata così.
Eleonora ha avuto esperienze terribili durante la sua infanzia, culminate in un fatto criminoso che ha cambiato la sua esistenza. Le vicende della sua infanzia e prima adolescenza sono state sepolte nel fondo del suo cuore, ma è arrivato il momento di riportarle in superficie, per potersi riconciliare con il suo passato e con sé stessa. Decide quindi di fare una vacanza, assieme ai suoi figli, nei luoghi dove ha trascorso quegli anni terribili, perché vuole ricordare e perdonarsi. Il romanzo è un continuo intersecarsi tra il tempo attuale e quello passato, narrato da una Eleonora adulta e una bambina, quasi fossero due persone diverse. Ricordando quello che è stato, Eleonora riesce a fare pace con se stessa per continuare il cammino della sua vita assieme alla sua attuale famiglia.

Pensieri e parole

Dettagli prodotto

  • Copertina flessibile: 150 pagine
  • Prezzo cartaceo: 11,50
  • Editore: Giraldi Editore
  • ISBN-13: 978-8861555884

Primo capitolo

1.

Estate. Finalmente. Apro la finestra e rimango ad annusare l’odore dell’aria calda che mi avvolge le spalle. Nemmeno il fritto dell’inquilino cinese del piano di sopra può disturbare questo momento di beatitudine. E’ arrivata finalmente, quasi all’improvviso, dopo un lungo inverno umido e freddo che ha stremato la mia resistenza e la mia pazienza. I ragazzi scalpitano, sono irrequieti, loro non ammirano la bellezza dei colori resi più brillanti dalla luce del sole, non apprezzano il calore che scioglie le giunture, ma lo sentono sotto la pelle, come una leggera scossa elettrica che gli impedisce di rimanere fermi. Mi sono presa un minuto per me, solo un minuto per lasciarmi investire dalle forti sensazioni dell’estate, il mio tempo però è già finito.

“Mamma, Giulia vuole buttare il mio spazzolino nel gabinetto”.

“Marco mi ha rubato l’apparecchio per i denti”

Ecco, la mia tregua è terminata. E’ durata poco, ma è sufficiente. Ho imparato a sfruttare a fondo i pochi istanti liberi della mia giornata. Raccolgo la mia attenzione dispersa nell’aria attorno a me, mi giro verso l’interno della casa e faccio un salto nella realtà.

“Ragazzi, per favore”. E’ tutto quello che riesco a dire in questo momento. Il mio tono di voce poi è talmente basso che stento a sentirmi io stessa.  Rientrando in casa dal terrazzo mi saltano addosso tutti i miei impegni quotidiani: erano lì, appoggiati sulla sedia assieme alla vestaglia, me li ero tolti un attimo e ora me li carico sulle spalle, come sempre, come tutte le mattine. Collaboro presso uno studio di avvocati, uno studio importante e famoso. I problemi non finiscono con l’orario di lavoro, mi seguono anche a casa. Montagne di carta che trasporto in una cartella di pelle sdrucita sempre così gonfia che ormai ho rinunciato a chiuderla. La serratura in metallo è solamente un rassegnato ornamento.  E un computer portatile, che mi sembra ogni giorno più pesante con il suo carico di file disperati che salvo nella sua memoria. Ma non posso fare diversamente, so bene che ciascuno di quei fogli è una persona che sta aspettando risposte, ogni singolo faldone è una storia terribile che merita giustizia. Faccio il mio lavoro di avvocato seriamente, cerco di dare almeno un senso di considerazione a chi attende anni perché i propri diritti vengano almeno ascoltati. Io sono l’ultima ruota del carro in ufficio, sono l’idealista, quella alla quale vengono affidati i casi meno importanti e redditizi, i casi disperati. Sono fiera del mio ruolo, sono tutti bravi a difendere chi ha abbastanza soldi da comperarsi lo Stato intero pur di farsi ascoltare. Difendere chi non conta niente è molto più difficile. Ci vuole passione e cuore, intelligenza e fantasia. Bisogna farsi ascoltare anche senza voce, e io sono brava in questo, almeno ce la metto tutta. Questo impegno sarebbe già da solo sufficiente a prendersi molte ore della mia giornata, anche qualcuna di più delle canoniche 24 che non sono mai sufficienti, ma non c’è solo lui, ci sono altri problemi che richiedono la mia attenzione e la mia capacità di mediazione.

“Marco ridai subito l’apparecchio a tua sorella, lo sai che è costato un sacco di soldi”

“Lo voglio anch’io l’apparecchio, perché non me ne comperi uno anche a me?”

“Mi dispiace di averti fatto con una dentatura perfetta tesoro, se torno indietro ti faccio con i dentini un po’ storti come tua sorella, così puoi mettere l’apparecchio anche tu”.

“Ma non lo vedi quanto è scemo mamma, e tu stai anche a rispondergli”

“E tu Giulia ridagli il suo spazzolino da denti immediatamente”

“Io non lo voglio più il mio apparecchio dopo che se lo è messo in bocca lui, mi fa schifo, adesso me ne prendi uno nuovo”.

Le controversie domestiche da sedare sono altrettanto dure ed estenuanti di quelle legali. Forse anche di più, dal momento che le loro motivazioni sono estremamente irrazionali, e questo porta ad una frustrante impossibilità di dirimerle con argomenti convenzionali. Oltre alla fantasia e all’intelligenza ci vuole una infinita quantità di pazienza, che purtroppo, a volte, bisogna raschiare dal fondo di un barile quasi vuoto. Per fortuna che questa mattina mi sono alzata con l’odore dell’estate nelle narici, l’animo leggero ed una insolita sensazione di energia nelle membra.

“Marco, hai mai provato a fare un apparecchio con la gomma da masticare? Se vieni qui ti insegno come si fa”.

Mentre posiziono sui denti perfetti di mio figlio una bella striscia di gomma da masticare che si modella come un apparecchio mobile, penso che sono proprio un bravo avvocato, che riesco sempre a risolvere i problemi più difficili, che anche questa mattina siamo tutti ampiamente in ritardo, e che mi piacerebbe che qualche volta mi si riconoscessero i miei meriti, tranne quello di arrivare sempre in ritardo naturalmente.

Cerchiamo di vestirci tutti a tempo di record, usciamo dalla porta che ancora ci stiamo infilando maniche, allacciando bottoni, calzando scarpe. Non c’è tempo per tornare indietro: se qualcosa è stato dimenticato rimane dov’è. Il dissidio tra i figli continua insanabile, oggi in maniera particolare, eccitati dalla temperatura e dal soffio di energia dell’estate, sembrano non smettere più di beccarsi. Dobbiamo solo arrivare fino alla scuola, il tragitto non è lungo, e io comincio già a ripassare gli impegni della mia giornata lavorativa. Cosa non facile con i continui urli che mi provengono dal sedile di dietro dell’auto.

“Mammaaaaaa diglielo anche tu che la smetta”

Nemmeno voglio saperlo che cosa stanno facendo, cerco di isolare le frequenze sonore delle loro voci per escluderle dal mio cervello. Ci riesco bene, talmente bene che al semaforo rosso mi perdo a guardare un aereo in fase di decollo che, illuminato dal sole, lancia riflessi colorati. Spicca contro il cielo azzurro e mi viene voglia di acchiapparlo con la mano per farmi trascinare via, verso mete sconosciute e lontane. Ho isolato talmente bene la mia mente che non mi sono accorta del verde e dei clacson inferociti attorno a me. La gente dovrebbe avere più pazienza, la vita è così: con la fretta con cui viviamo ogni giorno non riusciamo più a vedere la bellezza quando ci si para davanti. Riparto scusandomi con una mano alzata, gli sguardi inferociti degli automobilisti che mi passano accanto mi suscitano un sentimento di inutilità e di energie sprecate. Torno alla realtà, mi concentro alla guida, ormai siamo davanti alla scuola. Naturalmente un accrocchio di macchine mi impedisce il passaggio. Naturalmente tutti i genitori devono fermarsi davanti al cancello della scuola, nessuno ha il tempo di fare alcuni passi per accompagnare il figlio, perché sono in ritardo cronico, come me. Questa mattina non mi arrabbio, aspetto pazientemente in fila che si siano tutti baciati e scambiati le raccomandazioni di rito fino a quando arrivo anche io nel punto più vicino per fare scendere i figlioli senza che debbano fare due metri di marciapiede prima dell’ingresso. Nel frattempo ho maturato una idea tanto fantasiosa quanto azzardata.

“Ragazzi, che ne dite se domani ci prendiamo un giorno di vacanza e ce ne andiamo al mare? E’ venerdì, il babbo può raggiungerci sabato con calma, intanto noi ci facciamo un giorno in più di ferie. Allora? Vi sembra una buona idea?”

Per una volta sono riuscita a zittirli, la mia rivelazione li ha ammutoliti, hanno smesso persino di litigare. Sono talmente stupiti che si sono dimenticati di scendere dalla macchina, un ingorgo di auto premono impazienti dietro di noi, temo che tra un po’ ci travolgano.

“Allora?”

“Mamma, sei sicura di sentirti bene?”

“Certo, ora andate, svelti. Domattina si parte!”

Mi abbracciano così forte che per un attimo non mi arriva l’aria al cervello, poi schizzano fuori dalla portiera come aria compressa urlando la loro gioia per la promessa di un giorno di vacanza inaspettato. Io riparto col sorriso sulle labbra tra gli insulti degli altri genitori in coda. Poi lancio uno sguardo alla cartella di pelle sul sedile di fianco a me. I fogli che affiorano raccontano di storie angoscianti che mi stanno aspettando. La mia mente cerca di concentrarsi sul dovere, ma il sorriso ancora non è sparito dalla mia faccia.


Sito realizzato da Damster multimediawww.videomodena.it