Rosa Moretti è una brillante commercialista, donna in carriera, separata, single, con un figlio universitario, che riceve l’incarico, da parte di una società cliente dello Studio, di curare per loro conto l’acquisto di una piccola società di software.

Precisa e scrupolosa come sempre Rosa analizza la situazione nel dettaglio, in maniera più approfondita di quanto richiesto dai suoi superiori. Dalla sua analisi emergono aspetti strani che Rosa ritiene vadano indagati più a fondo.
Nel tentativo di vedere chiaro negli affari di questa società la protagonista si trova ad essere testimone di un delitto compiuto nell’ambiente dei film pornografici con minori.

Il suo rapporto conflittuale con il figlio è determinante nella sua decisione di indagare, in quanto, dopo avergli chiesto un consiglio su come effettuare una ricerca sul sito web della società, teme che il ragazzo si faccia coinvolgere troppo da queste persone, che Rosa ormai sospetta di terribili crimini.

Varie rocambolesche avventure portano Rosa a rischiare più volte la vita, ma lei non si arrende, e cerca l'appoggio di alcune persone fidate.  

Dopo essere stata emarginata da tutti, Rosa scopre a sue spese che i suoi peggiori sospetti sono fondati. Scopre anche che le persone che riteneva più ostili sono invece quelle che l'aiuteranno in maniera sincera e disinteressata, rimanendole vicino nonostante il suo brutto carattere, e dandole una mano quando ormai sembrava non ci fosse più speranza, né di fare arrestare i colpevoli, né di salvare la vita.

Una serata tranquilla

Dettagli prodotto

  • Copertina flessibile: 225 pagine
  • Editore: Il mio libro (1 gennaio 2008)
  • Lingua: Italiano
  • ISBN-13: 978-8895412764

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Primo capitolo

Sembra strano desiderare di avere una vita qualunque. Un lavoro tranquillo, una famiglia tranquilla, tranquille sera­te davanti alla televisione mangiando pop corn accarezzando il gatto. Non è certo il massimo al quale può ambire una donna in età matura e non ancora entrata in un ricovero per anziani. E invece è quello a cui miro ogni sera. Penso proprio che sarei considerata uno strano caso da laboratorio, ma ogni tanto, quando mi perdo nei miei sogni, e questo che vorrei. Ma co­minciamo per gradi, mi spiego meglio.

Un lavoro tranquillo. Voi penserete che faccio l’artificiere, o la spia, oppure la maestra d’asilo. Sono una commercialista. Lavoro in un grosso studio, che ha i suoi uffici in una villa del Settecento ristrutturata, alle porte di una grande città. Sono molti anni che lavoro presso questo studio, e ho raggiunto una notevole rispettabilità, e di conseguenza un rispettabile ritorno monetario.

Non pensate che io sia venale. I valori principali della mia vita sono altri. Ma purtroppo non si vive di soli valori prin­cipali. Bisogna scendere a patti con il vile denaro, anche solo per potere continuare ad avere degli ideali. È molto difficile pensare agli alti valori della vita quando devi combattere con le bollette.

Il mio lavoro di per sé sarebbe tranquillo, ma forse sono io che riesco sempre a imbattermi in qualcosa che non posso fare a meno di approfondire. Ci sono fatti che non possono essere semplicemente presi per quello che sono. Bisogna ve­dere quello che c’è sotto, e poi quello che c’è sotto sotto. Da quel punto in poi non ti puoi più fermare, devi sapere cosa è successo veramente, oppure la tua vita non ha più nessun significato.

Ma dove siamo rimasti? Una famiglia tranquilla. Chi può dire di avere una famiglia tranquilla? Tutti hanno degli scheletri nell’armadio, anche i fondamentalisti della famiglia, anche quelli che perseguono la famiglia come obiettivo fondamentale della loro vita, a pre­scindere dal compagno o compagna che si ritrovano accanto. L’importante è avere una famiglia. Ci sono molte persone che la pensano così. Sono i più pericolosi. Bisogna diffidare as­solutamente di questi integralisti famigliari, perché come in tutte le forme di integralismo finiscono per perdere di vista la realtà, per vivere in un mondo parallelo, non vero, ma che prendono per oro colato. Bisogna sempre diffidare di costoro, come di quelli che ammettono pubblicamente di non amare il cioccolato.

Un uomo che vi confessa, magari quasi vantandosene, che non gli piace la Nutella, è un uomo da lasciare subito, su due piedi, senza voltarsi indietro, e senza neanche salutarlo se vi riesce.

Ma forse sto divagando. Dove siamo rimasti? Tranquille serate davanti alla televisione: le mie preferite. Non c’è niente di meglio nella vita, in senso teorico si inten­de.

Che piacere togliersi le scarpe con i tacchi a spillo che hai tenuto addosso tutto il giorno, che immenso piacere sdraiarsi sul divano, senza preoccuparsi di tenere un contegno com­posto, che sottile soddisfazione staccare il telefono, lasciarsi calpestare più e più volte dalle zampette di micio, azzannando qualche schifezza piena di grassi e di calorie come patatine, pop corn con il burro, arachidi, e una varia gamma di droghe del genere messe sugli scaffali del supermercato. Vi sembro esagerata? Fateci caso, queste cose danno una vera assuefazio­ne. Quando cominci a sgranocchiare i triangolini di mais non riesci più a fermarti, e se ti accorgi che in casa non ce ne è più sei persino disposta a rimetterti le scarpe e a uscire.

Ma quando riesco ad avere una serata così? Sono rare perle da coltivare con cura.

Proverò a descrivervi la mia pericolosa e avventurosa pro­fessione: il commercialista. Forse ce n’è una sola più perico­losa: il ragioniere. 

La sveglia suona alle sette e mezza. È sempre troppo presto. Al suono della sveglia la prima cosa che viene in mente è un termine irripetibile. Poi il lato razionale prende il sopravven­to e mi alzo, continuando a pensare cose irripetibili. Poi mi sveglio, e il primo pensiero va a mio figlio. Si sa, le mamme italiane sono molto, molto pesanti. È una eredità genetica, inutile quindi cercare di fare diversamente. Mio figlio studia Ingegneria Informatica, e abita vicino all’Università assieme ad altri due compagni di corso. Lo chiamo tutte le mattine pri­ma di uscire di casa. È una abitudine che lo fa arrabbiare, ma alla quale nemmeno lui sa rinunciare. Ho bisogno di sentire la sua voce, di sapere che va tutto bene, dopo di che la giornata può anche incominciare.

Dopo essere inciampata sul gatto alcune volte penso di sop­primerlo tirandogli la tazza del caffè, poi mi rendo conto che dovrei ripulire il pavimento: allora scendo a più miti consigli e gli do la sua pappa. Sistemato lui non mi resta che entrare nel bagno e cercare di riassumere sembianze vagamente umane.

Di solito la trasformazione è davvero sorprendente. È un’al­tra persona quella che esce dal bagno. Sono la donna di sem­pre, pronta ad affrontare il lavoro e tutte le persone con cui dovrò avere a che fare durante la giornata. So che posso con­tare su un fascino tutto personale e su un fisico niente male, una donna capisce presto quali sono le frecce al suo arco, tut­tavia qualcuna capisce troppo tardi come usarle al momento giusto. Ma è inutile recriminare.

Uscita dal bagno non resta che scegliere il vestito. Classico, elegante. Che altro?

Camicia di seta, tailleur, gonna o pantaloni, scarpe alte, bor­sa abbinata.

Quella che esce di casa sono io. Una seria e rispettata professionista di quarant’anni, che a prima vista ne dimostra qualcuno in meno, o almeno è quello che mi piace pensare. Ho sempre cercato di dimostrarne di più, per riscuotere più rispetto da parte degli uomini, ma da qualche periodo ho invertito la marcia, cercando di barare un po’ sul tempo. Non è difficile, al giorno d’oggi la cosmesi offre talmente tante possibilità che non c’è che l’imbarazzo della scelta.

 

Scendo nel garage e salgo sulla mia Mercedes. Una signora di classe deve pure darsi un contegno, e l’auto con cui ti pre­senti è il tuo biglietto da visita.

Il mio ufficio non e lontano da casa. Anche a piedi sarebbe una normale passeggiata. Ma io devo amministrare il patri­monio di grosse società e di ricchi privati, se mi presentassi a piedi sarei quantomeno poco credibile.

Esco dal garage con cautela. Di solito È una brusca frenata quello che mi aspetta. Il cane del portinaio adora sdraiarsi a scaldarsi al primo sole del mattino proprio all’uscita della sali­ta dei garage. Sarebbe già diventato uno zerbino, se non fosse per le sue dimensioni. Visto da una certa distanza sembra più un bisonte che un cane, e questo è certamente l’aspetto che gli ha salvato la vita fino adesso. Poi quando lo si guarda più da vicino viene da chiedersi chi può avere lasciato un comodino in mezzo al marciapiede, ma l’abbaglio dura finché si comin­cia a vedere che sbava.

Chiunque se lo trova davanti realizza subito che passarci so­pra non gli arrufferebbe neanche il pelo, ma ammaccherebbe irrimediabilmente la carrozzeria dell’auto.

Ma io sono preparata. Ho una scatola dei suoi biscotti pre­feriti in auto.

«Guarda bello, guarda qui sacco di pulci cosa ho per te, cor­ri, vai a prendere il biscottino, razza di ingombrante e inutile ammasso di pelo».

Intanto tiro un paio di biscotti sul prato, al che il cane, con aria annoiata, alza prima un orecchio, poi l’altro, poi si stira sulle zampe e parte all’inseguimento della colazione.

Non ho più ostacoli. Ora posso arrivare al mio ufficio. 


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